Autore: Conte Avvocato Gherardo Guelfi Camaiani, tutti i diritti riservati
Il Diritto Nobiliare
Oggetto del diritto nobiliare è lo studio delle fonti del diritto al titolo nobiliare ed in particolare dei provvedimenti normativi emanati nelle diverse epoche e nei diversi Stati in materia di titoli, qualifiche, trattamenti ed attributi nobiliari. Ciò richiede ovviamente la conoscenza di una notevole molteplicità di nozioni prevalentemente di natura giuridica.
Conseguentemente il diritto nobiliare è da ritenersi di esclusiva competenza del giurista e non, come spesso accade, genericamente dello storico, dell’araldista o del genealogista.
Invero, pur essendo la storia, l’araldica e la genealogia, materie certamente ausiliarie del diritto nobiliare, di tale settore del diritto può occuparsi solo lo studioso che abbia una preparazione prettamente giuridica.
Ciò premesso è da dire che — come sostenuto dal Principe Carlo Mistruzzi di Frisinga, nel suo “Trattato di Diritto Nobiliare Italiano” (Milano, Giuffrè 1961, Vol.III, p.91), l’opera più completa in materia — “la fonte principe del diritto nobiliare italiano è data dall’art.79 dello Statuto fondamentale del Regno”, per il quale: “i titoli di nobiltà sono mantenuti per coloro che vi hanno diritto; il Re può conferirne dei nuovi”.
Circa i motivi che portarono alla formulazione dell’art. 79, è opportuno riportare quanto al riguardo ebbe a pronunciare la Suprema Corte nella sentenza 22 dicembre 1879 (in Foro It., 1880, I, 591).
“Lo Statuto che nell’art.24 aveva proclamata l’eguaglianza dei cittadini innanzi alla legge ben doveva sin dalle prime provvedere a che questo altissimo principio di naturale ragione non fosse, con pubblico e privato danno, spinto ed esagerato sino a giustificare un’assurda parità di ricchezza e di beni ed una inutile abolizione della nobiltà personale o della nobiltà ereditaria. Fu così che nello stesso Statuto inserivansi altre dichiarazioni, per le quali facevasi asserto che se i nuovi tempi non tolleravano nè la casta dell’antichità nè la schiavitù del mondo pagano, e neppure il feudalismo dell’evo medio, l’eguaglianza civile non poteva esistere che proporzionale, e che sebbene la repugnasse a personali distinzioni, derivanti da privilegi ed esenzioni, pure essa non conduceva all’abolizione di quei titoli di quei gradi senza funzioni e senza prerogative, i quali in sostanza non racchiudessero che un valore come suol dirsi, di semplice opinione. E ben questo limite alla generalità del principio di civile uguaglianza, parere doveva ragionevole e prudente avvegnacchè sia sommamente nobile ad un paese avere mezzi per fare segno di onore a chi lo abbia devotamente servito, e nulla impedisca che quel segno di onore per la sua trasmissibilità agli eredi sia maggiormente ambito e diventi stimolo più efficace ai nobili fatti ed alle generose imprese”.
L’articolo 79 non faceva quindi torto al principio di uguaglianza, poichè i titoli nobiliari “non fanno che leggermente accentuare le grandi disuguaglianze che la natura umana e la legge e le norme della civiltà e delle società hanno sparso dovunque nel mondo” (Mistruzzi di Frisinga, op. cit., p.95).
Premessi questi brevi cenni, è opportuno elencare brevemente i principali provvedimenti emanati nel Regno d’Italia, fino alla caduta della Monarchia, per disciplinare la materia nobiliare e araldica.
In relazione al citato art. 79, era necessario, oltre che regolamentare la prerogativa regia di conferire nuovi titoli nobiliari, regolamentare la conservazione dei titoli che già esistevano negli Stati sabaudi per opera degli antecedenti sovrani e dei titoli che esistevano negli Stati man mano unificati. Per evitare abusi ed usurpazioni, all’idea del mantenimento, si affiancò quella della legittimità dei titoli e del diritto dei pretesi possessori, da dimostrarsi provando l’origine legittima del titolo e la sua legittima trasmissione. Per tale motivo, con R.D. 10 ottobre 1869, n. 5318, il Re Vittorio Emanuele II istituì la Consulta Araldica presso il Ministero dell’Interno “per dare parere al Governo in materia di titoli gentilizi, stemmi ed altre pubbliche onorificenze” (art.1).
Con R.D. 8 maggio 1870, si approvò il Regolamento per la Consulta Araldica, che suddivideva i provvedimenti nobiliari in due categorie: quelli reali e quelli ministeriali.
Alla prima categoria appartenevano:
- la concessione, con cui il Sovrano dava origine ad un titolo nuovo;
- la conferma, con cui il Re autorizzava l’uso in Italia di un titolo concesso da una Potenza estera;
- la rinnovazione, con cui un titolo già esistito in una famiglia veniva fatto rivivere a favore di qualche persona della stessa famiglia;
- il riconoscimento con cui il Re dichiarava legale un titolo posseduto pacificamente per quattro generazioni consecutive senza che il richiedente potesse produrre il documento di concessione.
Apparteneva alla seconda l’attestazione del Ministro dell’Interno che una determinata persona aveva diritto di portare un titolo per successione ed in forza di concessioni o investiture: “chiamasi anche riconoscimento l’attestazione della Consulta, vista e spedita dal Ministero dell’Interno, che una persona ha diritto di portare un titolo d’onore per successione, ed in forza di concessioni od investiture” (art.16).
Inoltre, la Consulta Araldica fu incaricata di tenere un “registro di titoli gentilizi” (art. 7, R.D. 5318/1869) che costituì il nucleo originario del primo Elenco Ufficiale Nobiliare, la cui compilazione richiese poi ben cinquantadue anni. Parallelamente, si stabilì il principio dell’obbligatorietà dell’iscrizione in detto registro affinchè l’insignito potesse esigere di vedersi pubblicamente attribuito il titolo nobiliare a lui spettante. Infatti, nessun titolo nobiliare poteva essere attribuito nelle pubblicazioni ufficiali, nelle matricole dei pubblici funzionari, negli atti notarili ed in quelli di stato civile se non quando detto titolo risultasse iscritto nel registro in capo alla persona: “nessun titolo gentilizio sarà attribuito a chicchessia nelle pubblicazioni ufficiali e nelle matricole dei pubblici funzionari, se non quando risulterà della sua iscrizione sul suddetto registro” (art. 8).
Un nuovo Ordinamento per la Consulta Araldica venne emanato dal Re Umberto I, con R.D. 11 dicembre 1887, n. 5138, seguito dal R.D. 5 gennaio 1888 con il quale si approvò il relativo Regolamento. In base a questi nuovi provvedimenti, la Presidenza della Consulta Araldica veniva assunta dal Ministro dell’Interno e la Consulta doveva nominare, al suo interno, una Giunta permanente araldica con il compito di dare i pareri previsti dal precedente ordinamento.
Con il R.D. 15 giugno 1889, vennero dettate le norme per dare attuazione all’art. 11 del R.D. 5138/1887 che prevedeva la formazione di appositi registri nei quali iscrivere le famiglie in legittimo possesso di titoli nobiliari. In preparazione dell’elenco generale, si decise di creare, oltre ad un elenco speciale delle famiglie che dopo l’Unità d’Italia avevano ottenuto decreti di concessione, rinnovazione, conferma o riconoscimento di titoli nobiliari, tanti elenchi quante erano le regioni storiche italiane: Piemonte, Liguria, Lombardia, Venezia, Parma, Modena, Toscana con Lucca e Massa, Province romane, Province napoletane, Sicilia, e Sardegna. La formazione di tali elenchi avvenne a cura di Commissioni locali che vi iscrissero le famiglie già registrate come in legittimo possesso di titoli nobiliari negli analoghi elenchi o Libri d’Oro dei cessati governi italiani preunitari.
I RR.DD. 2 luglio 1896, n. 313, e 5 luglio 1896, n. 314, contengono un nuovo Ordinamento per la Consulta Araldica ed il relativo Regolamento. Le innovazioni più significative contenute in tali decreti sono la istituzione dei “Libri Araldici” e la previsione delle Lettere Patenti di Reale Assenso per i casi di successione femminile.
I “Libri Araldici” furono istituiti in numero di quattro e cioè: il Libro d’Oro della Nobiltà Italiana, nel quale vennero iscritte le famiglie italiane che avevano ottenuto Decreti (Reali) di concessione, conferma o rinnovazione o Decreti (Reali o Ministeriali) riconoscimento di titoli nobiliari, con l’indicazione del paese di origine, della dimora abituale, dei titoli con la loro provenienza e trasmissibilità, dello stemma con i suoi ornamenti, delle determinazioni reali o governative circa l’avvenuta concessione, rinnovazione o riconoscimento, nonché della genealogia documentata; il Libro Araldico dei titolati stranieri, nel quale vennero iscritte le famiglie straniere in possesso di titoli italiani; il Libro Araldico della cittadinanza, nel quale vennero iscritte le famiglie che senza essere nobili avevano avuto riconosciuto uno stemma; il Libro Araldico degli enti morali, nel quale vennero iscritti gli enti (comuni, province, associazioni, ecc.) che avevano avuto il riconoscimento di stemmi, bandiere, titoli, sigilli o altre distinzioni.
Il R.D. 3 luglio 1921, n. 972, approvò il primo Elenco Ufficiale Nobiliare, denominato Elenco Ufficiale delle Famiglie Nobili e Titolate del Regno d’Italia. In tale Elenco figurarono tutte le famiglie iscritte nei precedenti elenchi regionali ma con un asterisco – al fine di rimarcare la loro posizione di assoluta regolarità — furono contrassegnate le famiglie iscritte nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana, cioè le famiglie che avevano ottenuto un Decreto Reale di concessione, conferma o rinnovazione od un Decreto Reale o Ministeriale di riconoscimento.
Ulteriori disposizioni per disciplinare l’uso di titoli e attributi nobiliari vennero emanate con il R.D. 20 marzo 1924, n. 442, e con il R.D. 28 dicembre 1924, n. 2337. Fondamentale è l’art.1 del primo decreto con il quale si confermava che nessuno poteva fare uso di titoli nobiliari se era iscritto nei registri della Regia Consulta Araldica.
Con i RR.DD. 16 agosto 1926, n. 1489, e 16 giugno 1927, n. 1091, si approvò il nuovo Statuto delle successioni ai titoli e agli attributi nobiliari.
Con il R.D. 21 gennaio 1929, n. 61, si introdusse nell’ordinamento giuridico italiano un istituto totalmente nuovo: l’Ordinamento dello stato nobiliare italiano. Questo si divide in tre parti: la prima contiene le norme generali di legislazione nobiliare, disciplina la potestà regia al riguardo, distingue i vari provvedimenti nobiliari, pone le norme per la concessione, il riconoscimento, l’uso, la perdita, la successione dei titoli e distinzioni nobiliari; la seconda contempla l’ordinamento della Consulta e dell’ufficio araldico; la terza contiene norme procedurali circa le domande, i ricorsi, e gli atti di opposizione relativi a provvedimenti in materia nobiliare e circa la loro spedizione.
Con il R.D. 7 settembre 1933, n. 1990, venne approvato un nuovo Elenco Ufficiale Nobiliare, ora denominato Elenco Ufficiale della Nobiltà Italiana che, eccettuato il supplemento per gli anni 1934-1936 (approvato con R.D. 1 febbraio 1937, n. 173), fu il secondo ed ultimo Elenco Ufficiale approvato dal Regno. A questa seconda edizione fu annesso in appendice un dizionario ufficiale dei predicati.
I RR.DD. 7 giugno 1943, n. 651 e 652, introdussero il nuovo Ordinamento dello stato nobiliare italiano ed il nuovo Regolamento per la Consulta Araldica del Regno. Tali decreti sono gli ultimi emanati prima della caduta della Monarchia ed in vigore a tale momento.