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Le Aggiunzioni di Cognome

Autore: Conte Avvocato Gherardo Guelfi Camaiani, tutti i diritti riservati

Appare opportuno trattare questo argomento nell’ambito del Diritto Nobiliare perchè spesso, nella storia, importanti famiglie nobili si sono estinte in altre famiglie. Molte volte, ricostruendo l’albero genealogico di una Casata, si ha la prova di tali legami nobiliari. Per non disperdere tale patrimonio storico, l’ordinamento giuridico offre la possibilità di aggiungere al proprio uno o più cognomi dei propri ascendenti.

Le norme contenute nel R.D. 9 luglio 1939 n. 1238, come sostituite dal D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, ed infine dal D.P.R. 13 marzo 2012, n. 54, consentono, infatti, a chiunque voglia aggiungere al proprio un altro cognome, di farne domanda al Prefetto della Provincia del luogo di residenza o di quello nella cui circoscrizione è situato l’Ufficio dello Stato Civile dove si trova l’atto di nascita al quale la richiesta si riferisce, esponendo le ragioni a fondamento della richiesta. Il Prefetto, assunte informazioni sulla domanda, se ritiene che essa sia meritevole di essere presa in considerazione, autorizza con proprio decreto il richiedente a fare affiggere all’Albo pretorio del Comune di nascita e di attuale residenza dello stesso richiedente un avviso contenente il sunto della domanda; l’affissione deve avere la durata di giorni trenta consecutivi e deve risultare dalla relazione fatta dal responsabile in calce all’avviso.

Il decreto che autorizza le pubblicazioni può stabilire che il richiedente notifichi a determinate persone il sunto della domanda. Chiunque ne abbia interesse può fare opposizione alla domanda entro il termine di trenta giorni dalla data dell’ultima affissione ovvero dalla data dell’ultima notificazione. L’opposizione si propone con atto notificato al Prefetto.

Trascorso il termine suddetto, il Prefetto, accertata la regolarità delle affissioni e delle notificazioni e vagliate le eventuali opposizioni, provvede sulla domanda con decreto. I decreti che autorizzano il cambiamento o la modificazione del nome o del cognome devono essere annotati, su richiesta degli interessati, nell’atto di nascita del richiedente, nell’atto di matrimonio del medesimo e negli atti di nascita di coloro che ne hanno derivato il cognome, cioè i figli.

Come si può notare da questa breve analisi delle norme contenute nel D.P.R. 396 del 2000, il procedimento per aggiunta di cognome è ispirato alla maggiore pubblicità possibile della relativa domanda.

In riferimento a tale elemento è opportuno domandarsi alla tutela di quali interessi esso sia posto e quando il Prefetto possa non autorizzare l’aggiunzione richiesta.

Secondo una impostazione restrittiva che ha prevalso fino a qualche tempo fa, venivano accolte solo quelle domande nelle quali il cognome da aggiungere fosse estinto almeno nella linea maschile.

Negli ultimi anni, viceversa, si è affermata una impostazione più ampia soprattutto in virtù di alcune interessanti sentenze del Consiglio di Stato, organo presso il quale si può impugnare il diniego del Prefetto, confermato dal T.A.R. competente per territorio.

Per esempio, in un caso in cui era stata negata l’aggiunta di un cognome perchè la sopravvivenza di quest’ultimo cognome era assicurata dall’esistenza di un discendente, il Consiglio di Stato in una sentenza del 1997 ha accolto la domanda del richiedente rilevando che non si deve tener conto solo dell’interesse pubblico che consiste nel far sì che i cognomi siano tendenzialmente stabili nel tempo, sì da poter assolvere alla loro funzione di identificazione della persona, ma anche le ragioni del privato devono essere opportunamente considerate; e possono essere ragioni basate sulle esigenze più svariate: morali, economiche, familiari, affettive. Questo anche perchè “l’aggiunta di ulteriori cognomi non incide negativamente sulla identificazione della persona nel contesto sociale e non ingenera pericolo di confusione, mantenendo comunque il soggetto anche l’originario cognome”.

Il Consiglio di Stato già in un parere del 1984 aveva precisato che il Regio Decreto del 1939 “non subordina l’accoglimento delle domande di aggiunta alla circostanza che i cognomi che si chiede di inserire siano in via di estinzione”; è quindi perfettamente legittimo chiedere di aggiungere anche un cognome la cui sopravvivenza venga assicurata in ogni caso da un altro discendente, a meno che quest’ultimo non si opponga con specifico atto notificato al Prefetto nell’ambito della procedura sopra descritta.

Tale opposizione potrà essere presentata nelle ipotesi in cui l’aggiunzione possa produrre una possibile confusione tra i soggetti ovvero comunque un nocumento all’opponente.

Considerando l’attuale giurisprudenza, rimane impossibile, tuttavia, l’anteposizione del nuovo cognome, che si chiede di aggiungere, all’originario: esclusione che si giustifica con l’esigenza di stabilità dei cognomi al fine di una agevole e certa identificazione della persona.

In riferimento all’interesse del singolo ad aggiungere uno o più cognomi, è stato rilevato (DE CUPIS, I diritti della personalità, in Trattato di diritto civile e commerciale, diretto da Cicu e Messineo, Milano, Giuffrè, 1982, pp. 399 e segg.) che nell’ambito della tutela del nome, come principale segno distintivo della persona, un elemento importante, assai utile per l’identificazione personale, è determinato dalla discendenza naturale del soggetto, dalla sua generazione ad opera di determinati individui, genitori, nonni, avi: relazione che si concreta nell’essere figlio di costoro. Il soggetto stesso è identificato con il richiamo della sua situazione di figlio di determinati individui; tale richiamo costituisce la precisazione di una fondamentale relazione naturale, vale a circoscrivere la posizione sociale del soggetto, e contribuisce, così, alla sua identificazione. E’ indubitabile che la persona, come unità della vita sociale e giuridica, abbia bisogno di affermare la propria individualità, distinguendosi nei rapporti sociali dagli altri soggetti e risultando per chi è realmente: l’uomo annette grande valore all’affermarsi non soltanto come persona, ma anche come una certa persona, e precisamente come discendente di determinate altre persone. L’individuo, mentre è distinto per mezzo del prenome dagli altri componenti il suo gruppo familiare, aventi lo stesso cognome, è distinto per mezzo del cognome dai soggetti che appartengono ad altri gruppi familiari e che possono avere il suo stesso prenome. Il cognome costituisce, quindi, quella parte del nome che richiama la situazione familiare della persona, la sua appartenenza ad una famiglia. In altre parole, secondo il significato che gli storici attribuiscono alla parola cognome, deve intendersi per esso quel nome dopo il proprio che è comune alla discendenza; ma, dove diversi siano i rami nei quali una famiglia si sia frazionata, è naturale che gli appartenenti ai rami medesimi sentano il bisogno di distinguere le loro rispettive formazioni aggiungendo i diversi cognomi. Per cognome, dunque, deve intendersi non la sola denominazione comune di varie famiglie discendenti da un medesimo stipite, ma l’indicazione specifica destinata a farle meglio distinguere l’una dall’altra. Invero, nel quadro così delineato, deve essere riconosciuto al singolo l’interesse ad aggiungere, dopo il cognome paterno, anche uno o più cognomi di famiglie che nel proprio albero genealogico si trovino legate con l’ascendenza paterna, servendo, questo o questi ulteriori cognomi, ad una maggiore specificazione della propria situazione familiare. Tale interesse, che può avere natura morale, affettiva o familiare, deve essere riconosciuto dall’ordinamento giuridico all’individuo, come proiezione sociale della sua identità personale, e può precisamente denominarsi interesse all’identità personale.

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